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Laureata in Scienze Biologiche con il massimo dei voti, ho conseguito il dottorato in Oncologia Sperimentale e Clinica presso il Dipartimento di Patologia e Oncologia Sperimentali, Università di Firenze. Durante il dottorato ho contribuito all’identificazione di nuovi potenziali agenti per il trattamento farmacologico delle leucemie. Al termine del Dottorato, ho trascorso 3 anni in Canada presso la McGill University, dove ho acquisito un’ampia conoscenza dell’epigenetica focalizzando l’attenzione su agenti demetilanti il DNA per il trattamento delle leucemie mieloidi acute. Rientrata in Italia ho contribuito allo sviluppo e alla caratterizzazione di una nuova classe di inibitori delle deacetilasi histoniche (HDACi), come potenziali agenti anti-tumorali. Tali composti generati dalla coniugazione di benzodiazepine (BZD) con acido idrossamico sono risultati efficaci nell’indurre la morte di cellule tumorali in vitro e in vivo e successivamente brevettati come nuovi agenti terapeutici contro il cancro. Negli ultimi ho contribuito significativamente allo sviluppo di un nuovi approcci molecolari volti a controllare l’angiogenesi e la progressione tumorale. Attualmente, sono impegnata in un progetto di ricerca focalizzato sullo studio dei meccanismi implicati nella chemio-resistenza di cellule di melanoma BRAF mutate. Il melanoma è fra le neoplasie più aggressive nell’uomo e sicuramente la più aggressiva in ambito cutaneo vista la sua propensione a sviluppare metastasi, infatti è causa di almeno il 65% delle morti per cancro della cute. Circa il 50% dei melanomi presenta mutazioni a carico del gene BRAF (BRAFV600E) che ne inducono un’attivazione costitutiva e quindi uno stimolo continuo alla proliferazione cellulare. Pazienti affetti da melanoma inoperabile o metastatico (stadio III o IV) con mutazione BRAF V600E vengono trattati con con il Vemurafenib, inibitore specifico di tale mutazione. Tuttavia nonostante incoraggianti risposte iniziali, in termini di intervallo libero da malattia, buona parte dei pazienti sviluppa resistenza acquisita alla terapia. Inoltre, il 20-40% dei pazienti non risponde già in fase iniziale, (resistenza primaria) e le remissioni complete sono estremamente rare. Comprendere il meccanismo di resistenza è importante sia per lo sviluppo di nuovi farmaci sia per identificare nuovi biomarcatori in grado di predire la resistenza e la sensibilità alle terapie. Tra i diversi meccanismi molecolari coinvolti nella resistenza al vemurafenib, l’espressione del recettore dell’urochinasi (uPAR) nelle cellule tumorali potrebbe svolgere un ruolo cruciale in vista del suo coinvolgimento nella segnalazione intracellulare, l’attivazione di fattori di crescita latenti, la degradazione della matrice extracellulare e tumore neoangiogenesi. Einstein diceva “L’uomo incontra Dio dietro ogni porta che la scienza riesce ad aprire”.