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Mi chiamo Marta e sono da 7 anni un’assegnista di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma. Fin da piccola ho sempre desiderato dedicarmi alla ricerca scientifica e, nonostante a 17 anni sia diventata mamma per la prima volta, tale ambizione mi ha spinta a continuare con tenacia gli studi liceali, conclusi nei tempi previsti e con il massimo dei voti, e nell’intraprendere e terminare con lode gli studi universitari in Scienze Geologiche. Successivamente ho svolto il dottorato di ricerca in Geofisica all’Università di Bologna, effettuando diversi periodi di studio ed attività di ricerca all’estero, prendendomi cura nel contempo anche del mio secondo figlio. In questo impegnativo percorso, fatto di quotidiana organizzazione tra le varie attività ed incombenze, la mia famiglia mi ha sempre appoggiato trasmettendomi l’energia necessaria per accettare la sfida della precarietà che la ricerca scientifica vive nel nostro paese, e per svolgere con passione la mia professione di ricercatrice in sismologia e più specificatamente nell’ambito del rischio sismico.
L’Italia è tra i territori a più alto rischio sismico nel pianeta, sia a causa dell’elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio abitativo e storico-culturale esposto, sia a causa dell’alta pericolosità sismica.
Quest’ultima non dipende solamente dalla vicinanza e dalla dimensione delle faglie sismogenetiche, ma anche dalla geologia locale che può agire modificando e amplificando le onde sismiche in arrivo. Tali fenomeni sono noti come “effetti di sito” e sono stati oggetto di studi approfonditi a partire dal terremoto che distrusse Città del Messico nel 1985: sebbene questo evento si fosse originato a ben 350 km di distanza, le onde sismiche furono amplificate dai sedimenti di un antico lago sui quali era stata costruita
la città, con effetti devastanti. Gli effetti di sito sono stati da pochi anni inclusi nella normativa antisismica nazionale (Norme Tecniche delle Costruzioni NTC 2008), applicando dei fattori correttivi ai livelli di accelerazione massima sostenuti dagli edifici, ma utilizzando tuttavia diverse semplificazioni per diversi livelli di amplificazione che riguardano tre situazioni geo-morfologiche: rocce, sedimenti e rilievi topografici.
Tuttavia sembrerebbe che tale approccio semplificato ed i modelli di letteratura su cui la normativa è basata, non siano sufficienti a spiegare tutte le osservazioni rilevate, come evidenziato da uno studio condotto sulle stazioni della rete sismica giapponese lo scorso anno. Un simile comportamento è stato anche osservato su una porzione delle stazioni appartenenti alla rete sismica nazionale italiana operata dall’INGV.
Questo progetto propone quindi uno studio sistematico e statistico degli effetti di sito estendendo il numero di stazioni sismiche analizzate ed utilizzando sia la rete sismica nazionale che, grazie alle collaborazioni internazionali già in essere, anche la rete sismica neozelandese operata dal GNS (l’istituto di ricerca sulle geoscienze della Nuova Zelanda). Sarà possibile disporre di una notevole quantità di segnali sismici rappresentata dai terremoti registrati lo scorso anno durante le sequenze sismiche dell’Italia centrale e di Kaikoura (NZ).
Pertanto, dal momento che i modelli teorici allo stato dell’arte su cui si basa la normativa sismica nazionale sembrerebbero non essere sufficienti a spiegare tutte le osservazioni, questo progetto di ricerca ha lo scopo di fornire nuove indicazioni circa fenomeni di amplificazione delle onde sismiche causati dall’assetto geologico locale: è infatti frequente imbattersi in situazioni in cui i livelli di accelerazione osservati eccedano i parametri previsti dalla normativa antisismica nazionale. Tale progetto si inserisce quindi in un contesto di riduzione del rischio sismico, per fornire un contributo per una futura
predisposizione, in caso di nuovi terremoti, di sistemi costruttivi idonei per le nuove abitazioni, e di modifiche strutturali per le abitazioni già esistenti nelle zone ad alta vulnerabilità.