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Ogni giorno quantità enormi di plastica vengono introdotte nei mari del mondo. Si stima che in mare finiscano otto milioni di tonnellate di plastica ogni anno, corrispondente ad un camion pieno di spazzatura rovesciato nell’oceano ogni minuto. Secondo recenti stime degli esperti, continuando con questi ritmi di immissione, nel 2050 l’oceano globale potrebbe contenere più pezzi di plastica che pesci, in termini di peso. La plastica che giunge in mare (bottiglie, buste, frammenti ed ogni altro tipo di rifiuto) tende a frammentarsi in pezzetti di dimensioni sempre più piccole, fino ad arrivare a frammenti definiti “microplastiche”, di dimensioni inferiori ai 5 mm, che costituiscono un inquinante ancora più pericoloso e subdolo. Infatti, questi frammenti minacciano la fauna sottomarina e possono essere ingeriti dagli organismi marini, inclusi i pesci, e finire sulla nostra tavola. Le plastiche accumulano inoltre numerose molecole tossiche, alcune delle quali vengono aggiunte in fase di produzione durante i processi industriali per donarle specifiche caratteristiche, altre invece sono già presenti in mare a causa dell’inquinamento e vengono adsorbite dalla plastica durante il suo lungo viaggio nell’oceano. Tra tutti i mari del mondo, il nostro Mar Mediterraneo è uno di quelli più soggetti all’inquinamento da microplastiche, in particolare di frammenti di polietilene (PE) e polipropilene, due polimeri utilizzati largamente da tutti noi nella nostra vita quotidiana. Il problema dell’accumulo della plastica in mare rappresenta uno dei temi più gravi e preoccupanti per le scienze marine, eppure le possibili soluzioni al problema sono ancora lontane. Per far fronte all’incredibile incremento dell’inquinamento ambientale da queste materie plastiche, la comunità scientifica ha proposto diversi approcci, tra cui la degradazione di questi materiali utilizzando i microorganismi, un approccio conosciuto anche come “biodegradation”. L’approccio si basa sull’intrinseca capacità di alcuni batteri marini di degradare, trasformare e digerire la plastica, utilizzandola come un prodotto utile per la propria crescita, e riconvertendola in molecole meno dannose. I microrganismi biodegradadatori possiedono enormi potenzialità per pulire il mare, e potrebbero essere utilizzati come “spazzini marini” in grado di distruggere la plastica, ad esempio durante strategie di bonifica ambientale. Gli scenari di bioremediation in situ, ovvero di biodegradazione effettuata direttamente in ambiente marino, sono quindi in costante aumenta. Di conseguenza, allo stadio attuale, è fondamentale individuare e studiare ceppi batterici non ancora identificati e provenienti dagli ecosistemi marini, in grado di agire come biodegradatori della plastica in mare. Tuttavia, le informazioni sulle capacità di biodegradazione della plastica, specialmente del microPE, da parte dei microorganismi marini sono ancora scarse. Questo progetto ha come obiettivo quello di indagare e sfruttare il potenziale dei batteri marini a (bio)degradare la plastica, seguendo i seguenti step: i) campionamento di frammenti di microPE nelle acque e nei sedimenti nei nostri mari, in aree notoriamente inquinate dalla plastica; ii) sperimentazione, nei laboratori attrezzati del Consiglio Nazionale delle Ricerche, della capacità di consorzi (o di comunità) microbici, associati a frammenti di microPE, nel degradare questi frammenti plastici; iii) isolamento di ceppi o consorzi microbici coinvolti nei processi di biodegradazione; iv) individuazione dei possibili meccanismi cellulari, dei singoli microorganismi o delle comunità isolate da acqua o sedimento in aree inquinate da microplastiche, con il principale obiettivo di fornire una solida base per possibili applicazioni volte a ripulire il mare dalla plastica. I risultati di questo studio, qualora raggiunti, permetteranno di identificare uno o più batteri marini in grado di degradare, digerire ed assimilare la plastica. Ciò donerà alla comunità scientifica un nuovo potenziale strumento per facilitare possibili azioni di bonifica dei mari, contribuendo a migliorare lo stato di salute dei nostri oceani, il luogo dove è nata e si è evoluta la vita, e dalla cui salute dipende il nostro benessere e quello delle generazioni future.